Quando pensiamo alla comunicazione fra persone di Paesi diversi, il primo ostacolo a cui pensiamo è la barriera linguistica.
Al fatto che, per interagire fra loro, avranno bisogno di parlare la lingua di uno degli interlocutori, oppure una lingua ponte (spesso l’inglese).
La barriera comunicativa, però, non è solo una questione di lingua: anche le differenze culturali, infatti, giocano un ruolo determinante nella comprensione, o meno, di ciò che viene detto.
E questo vale anche fra Paesi che parlano ufficialmente la stessa lingua, come ad esempio nel caso di Stati Uniti e Regno Unito.
In un precedente articolo ho già parlato di “The Prodigal Tongue“, il libro della linguista americana Lynne Murphy dedicato proprio al rapporto di amore e odio tra British English e American English.
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Come spiega Lynne, tra le differenze d’uso nell’inglese parlato nelle due sponde dell’Atlantico ci sono quelle relative all’educazione.
Nelle interazioni con gli altri, infatti, applichiamo il modello di educazione che abbiamo appreso in famiglia e nella società, insieme alle relative convinzioni implicite su cosa significhi essere una persona e avere un’interazione con gli altri.
Quando ci relazioniamo con qualcuno che applica un modello diverso dal nostro ci possono essere delle incomprensioni, perché inconsciamente siamo portati a ritenere che tutti si comportino nello stesso modo (ovvero come noi).
Quando notiamo delle differenze negli altri, finiamo per creare degli stereotipi.
Anche britannici e americani, pur parlando (più o meno) la stessa lingua, talvolta rischiano di fraintendersi.
Persino in riferimento a una parola tanto semplice e comune come “please“.

Una questione di punti di vista
Come sottolinea la dott.ssa Murphy, nelle interazioni con gli altri abbiamo due tipi di “facce“, due forze contrastanti in riferimento a ciò che desideriamo in una interazione.
Una è la faccia “positiva“, ovvero il desiderio di essere apprezzati e accettati; l’altra è la faccia “negativa“, il desiderio di essere autonomi e non dipendere dagli altri.
Da notare che, qui, i termini “positiva” e “negativa” non rappresentano un giudizio di valore.
Quando interagiamo, queste due forze competono fra loro.
In un modo o nell’altro, cerchiamo di “salvare la faccia“… 😉
In base alla cultura, la combinazione di questi due elementi porta allo sviluppo di modelli di educazione diversi.
Gli americani, ad esempio, nelle interazioni pongono maggiore enfasi sulla faccia positiva: solidarietà, familiarità e un maggiore individualismo.
I britannici, invece, prestano particolare attenzione alla faccia negativa: deferenza, formalità, forte senso della privacy.
Il modello britannico è più tipico delle società caratterizzate da strutture gerarchiche in cui prevale una comunicazione indiretta.

Please: differenze d’uso
Veniamo, quindi, alla parola “please“.
Statisticamente, e non è una sorpresa, nel Regno Unito questa parola è molto più utilizzata rispetto agli Stati Uniti.
Come spiega l’autrice di “The Prodigal Tongue”, a differenza di quello che si pensa comunemente, ciò non dipende dal fatto che i britannici siano più educati.
La differenza, infatti, è dovuta al diverso uso di “please“ da parte di britannici e americani, che implicitamente applicano regole diverse.
Regole che è importante conoscere, per essere sicuri di comportarsi nel modo giusto e non creare fraintendimenti nelle interazioni.
Nel Regno Unito, se non si dice please si viene percepiti come “bossy” (autoritari).
Negli Stati Uniti, invece, è dire please che viene percepito come “bossy“; oppure viene associato a quello che un bambino direbbe a un adulto per ottenere qualcosa (“per favore, me lo compri?“), o vicevera (“per favore, puoi ordinare la tua camera?!?): un modo di comunicare considerato manipolativo.
In American English, usare please all’inizio della frase può essere percepito anche come “condescending” (paternalistico) e, in generale, sottolinea l’esistenza di una differenza gerarchica.
Per gli americani, please si utilizza solo se il favore da chiedere è molto grande, se c’è davvero una differenza in termini di potere tra i due interlocutori, o se si desidera essere intenzionalmente aggressivi.
In generale, negli Stati Uniti si tende a non far percepire l’esistenza di una differenza di potere nelle relazioni fra adulti, anche quando in realtà sono presenti.
Le interazioni americane, infatti, sono generalmente finalizzate a creare/mantenere un senso di uguaglianza tra le persone, come l’autrice spiega nell’articolo “Saying ‘please’ in restaurants” del suo seguitissimo blog “Separated by a common language“.
A seconda del Paese, il modo di relazionarsi con un cameriere è molto diverso.
Per gli americani, ordinare significa fornire al cameriere delle informazioni; non si tratta, quindi, di una richiesta, che denoterebbe una differenza gerachica.
Quindi, niente please.
Nel Regno Unito, invece, please è usato con l’intento opposto: smantellare l’idea che ci sia una differenza gerarchica.
Per i britannici, ordinare in un ristorante senza dire please è assimilabile all’ordine impartito da un sergente a una recluta o da un lord al proprio maggiordomo…
Conclusioni
Per favorire una comunicazione efficace e senza fraintendimenti, oltre alle differenze linguistiche è bene conoscere anche quelle culturali.
E, in particolare, le differenze nei modelli di educazione e nel modo in cui una cultura definisce un’interazione efficace e rispettosa.
Come abbiamo visto, anche una semplice parola come “per favore” può essere utilizzata in modi completamente diversi per ottenere lo stesso risultato.
Nel dubbio, nell’interazione con gli americani è meglio evitare l’uso di please“.
Con i britannici, invece, meglio abbondare. 😉
Se siete interessati ad approfondire l’argomento, potete ascoltare questo episodio del podcast “The Allusionist”, in cui Lynne Murphy parla dell’uso di “please” nelle due sponde dell’Atlantico:
In questo video, invece, Lynne spiega come l’American English, abbia “salvato” la lingua inglese:
Qui potete trovare maggiori informazioni sul suo libro “The Prodigal Tongue”:
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Buona lettura… e buono studio!
Foto di copertina: Photo by Leeloo The First on Pexels.com
Sono l’autore del sito; lavoro come traduttore professionista dall’inglese e dal francese e in questi articoli ti parlo della mia passione per le lingue straniere e condivido con te suggerimenti e idee per migliorare le tue competenze linguistiche.
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