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Lavoro da remoto: l’esperienza di Automattic

Da un po’ di tempo sono un fervente sostenitore del lavoro da remoto: da quando, quattro anni fa, ho deciso di avviare la mi attività di traduttore freelance. In questo momento, in cui siamo tutti costretti a restare a casa per sconfiggere un virus nuovo e pericoloso, l’Italia sembra aver (ri)scoperto – non senza qualche resistenza – forme alternative di lavoro, che non richiedono la presenza fisica in ufficio. Se questa conversione temporanea e forzata avrà conseguenze nel lungo periodo è presto per dirlo, anche se è probabile che il mondo del lavoro, anche se in piccola parte, cambierà per sempre.

Ho deciso di dedicare una serie di articoli al lavoro da remoto, per analizzarlo sotto diversi punti di vista e fornire spunti e suggerimenti per svolgerlo al meglio. Ho scelto di iniziare entrando direttamente in questa realtà, raccontando l’esperienza diretta di chi ha fondato il proprio business su un modello organizzativo che non richiede spostamenti per andare in ufficio.

Nel video TED in coda all’articolo, Matt Mullenweg, CEO di Automattic (società americana proprietaria, tra le altre, di WordPress e WooCommerce), condivide il modo di lavorare della sua azienda, interamente fondata sul lavoro da remoto (o, come lo chiama lui, “lavoro distribuito“).

Lavoro da remoto - Automattic

Secondo le statistiche, il 43% degli americani svolge già una qualche forma di lavoro da remoto. Automattic ha 800 dipendenti, sparsi in 67 paesi. E, alcuni di loro, non hanno nemmeno un domicilio fisso, continuando a viaggiare per il mondo: i cosiddetti nomadi digitali.

Come evidenziato nel video, intelligenza e talento sono distribuiti equamente in tutto il mondo, ma lo stesso non si può dire per le opportunità. Cercando dipendenti unicamente nell’area in cui sorge l’azienda, si corre il rischio di perdere l’opportunità di impiegare persone in grado di fare la differenza per il proprio business, oltre a dover competere con altre aziende locali per assumere gli stessi candidati.

I vantaggi del lavoro remoto, ovviamente, non sono solo per l’azienda. Come sottolinea Matt, il vero problema di un impiego tradizionale è la mancanza di autonomia del lavoratore e l’impossibilità di creare un ambiente adatto alle proprie esigenze.

Il lavoro remoto, tra le altre cose, consente infatti di:

  • scegliere dove e quando lavorare (se non si è tenuti a rispettare comunque gli orari d’ufficio)
  • disporre di una finestra (aspetto non scontato in alcuni uffici tradizionali)
  • mangiare quello che si vuole, potendo fare scelte più sane per la propria salute
  • scegliere che musica ascoltare (o decidere di restare nel silenzio totale)
  • azzerare il tempo per il tragitto casa/lavoro (o ridurlo drasticamente nel caso si scelga di lavorare comunque fuori casa)

La questione più complessa, però, resta quella di convincere il proprio datore di lavoro ad aprire l’azienda a questo nuovo modello organizzativo. Da noi in Italia, in particolare, è ancora molto radicata l’idea che il lavoratore non supervisionato non svolgerà il proprio lavoro. In realtà, come sottolineato nel video, diverse ricerche dimostrano come il lavoro da remoto renda i collaboratori in media il 13% più produttivi.

Per ovviare a questo problema, esiste ovviamene la possibilità di abbandonare il lavoro dipendente per diventare freelance, come ho fatto io, scegliendo come e con chi lavorare. Ovviamente questo è più un punto di arrivo, che di partenza 😉

Il primo passo per favorire questa rivoluzione in azienda, è quello di far evolvere il modello lavorativo già esistente, per predisporlo a una possibile apertura futura all’attività da remoto. Matt suggerisce alcune soluzioni da adottare per creare un ambiente idoneo al lavoro distribuito:

  • documentare ogni decisione presa, in modo che tutti possano venirne a conoscenza, comprenderne le motivazioni e fornire la propria opinione
  • spostare la comunicazione interamente on line
  • trovare gli strumenti più idonei alla comunicazione, condivisione e collaborazione
  • ridurre i tempi degli incontri in presenza, rendendoli concisi e produttivi
  • consentire a ciascuno di creare il proprio spazio di lavoro

Su quest’ultimo punto, Automattic si è impegnata particolarmente: prima di tutto, offre a ciascun collaboratore un co-working stipend, per contribuire alla quota di iscrizione a un eventuale spazio condiviso in cui si sceglie di lavorare, o per pagarsi il caffè qualora si decida di lavorare, ad esempio, in un bar. Inoltre, all’avvio della collaborazione, l’azienda riconosce un home/office stipend, per aiutare il lavoratore a creare il giusto spazio di lavoro (come l’acquisto di una sedia ergonomica o di una lampada). Fantastico, no?

Ovviamente, per essere realmente efficace, il lavoro da remoto impone, prima di tutto, un approccio completamente nuovo al modo di organizzare e pensare il lavoro.

Inoltre, questo nuovo modo di lavorare presenta anche alcune problematiche e aspetti negativi, che però, solitamente, possono essere superati facilmente, come spiegherò nei prossimi articoli sull’argomento.

Ciao, fammi sapere cosa ne pensi!